2013 Cartoni animali
Fabio Cafagna
Ci sono caratteri di questa mostra che si presentano nella loro eterogeneità sia al visitatore della Galleria Alda Costa sia al lettore di questo breve catalogo. In quanto disomogenei, questi elementi andranno spiegati.
Dopo una lunga e piacevole conversazione con l’artista proverò a farlo. Il rischio è notevole, ma – come si dice – accetto la sfida. Anzitutto, tra me e Maurizio è viva la promessa, anzi il dovere, che da parte mia si faccia chiarezza sul titolo dell’esposizione, quel Cartoni animali che io ed Elena abbiamo deciso e – diciamolo pure – imposto allo scettico artista: un titolo dal carattere faceto, distante dalle delicate scelte linguistiche operate finora da Maurizio. La decisione di non allinearsi all’immagine di sobria eleganza della lingua che ha contraddistinto il rapporto tra l’artista e il suo pubblico è un azzardo – ce ne rendiamo conto – ma continuiamo a essere del parere che osare sia un pregio e, cosa ancor più importante, un’occasione unica di rimescolamento dei sensi e di ripensamento dei significati.
Cartoni animali, dunque. «È pur vero – dirà Maurizio – che le mie opere su carta non rappresentano in alcun modo un bestiario. Gli animali, se così li vogliamo chiamare, occupano soltanto piccole porzioni delle carte, sono frammenti di un universo ben più complesso, in cui il mondo animale sfuma in quello vegetale, si confonde con quello minerale e si dispone secondo una geometria organica fatta di macchie e profili liquidi». Come contestarlo? Ma è pur vero che un titolo è una forma contratta e d’effetto di un concetto che si esprimerà limpidamente soltanto con una proposizione più ampia. “Animali” è dunque un prelevamento da un insieme allargato, i cui confini interni, mutevoli, oscillano tra le qualità vegetali, minerali, animali, più genericamente organiche, e, perché no, spirituali e artificiali. L’idea del titolo non si spiega, perciò, con quel piacevole slittamento linguistico che ci fa sorridere, ma con la selezione di vocaboli che sappiano imbrigliare una costellazione di significati anche lontani fra loro. E se il “cartone” non dà particolari problemi, perché indica con efficacia la scelta di concentrarsi su un nucleo definito di opere – quelle su carta – e, nello stesso tempo, sottolinea la nobile povertà del supporto, l’“animale” – ce ne rendiamo conto – è più ambiguo. Ma è nell’ambiguità che risiede la forza della parola, portata com’è a coprire anche campi di senso molto vasti e distanti fra loro. “Animale”, perciò, sta a indicare la vitalità dell’universo immaginifico dell’artista, in cui le forme si animano, trapassano l’una nell’altra e si staccano dal paesaggio primordiale e indefinito che aveva caratterizzato le carte dipinte fino al 2008. “Animale”, perciò, sta anche a indicare la vivacità con cui il supporto dell’opera è sottoposto a continui stress – dal bagno di colore liquido al rattoppo, dal collage all’intaglio – e trasformato in un campo di battaglia che, pur conservando traccia della scarica di energia creativa, riappare saldamente ricomposto. Il contestato vocabolo serve, quindi, a indicare una via attraverso la quale leggere la potenza espressiva delle scelte tecnico-formali che l’artista ha operato in questi ultimi anni, spostando l’accento tonico sulla genesi dell’opera, oltre che sul suo contenuto, e lasciando in secondo piano – ma per poi recuperarla – la questione della forma compiuta e dello stile.
Se del titolo mi/ci sono/siamo assunto/i la responsabilità, per quel che riguarda l’incipit devo sottolineare la mia/nostra estraneità, rimettendo la colpevolezza nelle mani dell’artista. Si tratta dei primi capoversi del romanzo La meccanica (1970) di Carlo Emilio Gadda, che, scelti come beneaugurante avvio del catalogo, non possono che stupire il lettore per il loro pastoso e multiforme linguaggio. «Avrò letto questo passo un migliaio di volte – cito più o meno fedelmente da Maurizio – ma ancora non sono capace di coglierne il significato profondo. Sono però sicuro che qui dentro ci sia tutto l’universo - animale, aggiungerei/aggiungeremo io/noi - che rappresento nelle mie opere».
Il gioco di continui slittamenti di campo al quale lo scrittore sottopone la narrazione non contrasta, in effetti, con il meccanismo di sguardi, alternativamente ravvicinati e distanziati, che Maurizio mette in azione nei suoi cartoni. In lontananza essi appaiono come un saldo reticolo, un paesaggio con qualche figura antropomorfa o una composizione vegetale, ma se ci avviciniamo, rimaniamo intrappolati fra i rami e siamo rapiti dal tenero ammiccare di qualche stravagante figura. Nell’incipit di Gadda la descrizione trasmuta improvvisamente dalle meccaniche celesti a quelle domestiche, nelle carte dell’artista accade lo stesso: lo sguardo si fa spazio tra le forme e, una volta addentratosi, ne è intrappolato lungamente, fino a quando, con lentezza, non riacquista la forza per riemergerne. Il video Epicentro del 2011, strutturato intorno all’opera Paesaggio con figure dello stesso anno, rende ragione di questo meccanismo e ci fa intendere come vadano guardati i lavori dell’artista, dimostrando, inoltre, quanto la musica assuma un ruolo fondamentale nel processo compositivo dell’opera. Va qui aggiunto, per inciso, che parlando con Maurizio della sua arte è frequentissimo sentirgli pronunciare parole prese in prestito proprio dal mondo della musica. I suoi attrezzi, ad esempio, e i suoi metodi di colorazione e intaglio della carta sono ripetutamente paragonati ai membri di un’orchestra. Compito del compositore, e di conseguenza dell’artista, è di provvedere al raggiungimento dell’armonia, integrando nel gruppo anche gli elementi nuovi o ribelli. Ma accordare gli strumenti e ricercare la grazia non è sufficiente: l’andamento delle forme deve essere reso il più possibile dinamico. I colori e le figure, allora, travalicano il confine del quadro e si espandono nei territori limitrofi. Il ritmo a cui tende l’artista è lo stesso che misteriosamente Gadda infonde alla sua scrittura, ma è anche «quell’inquieto flusso sonoro – e qui saccheggio un’altra volta dalle parole di Maurizio - con il quale Miles Davis sembra raccontarci il divenire incomprensibile ed eterno della vita».
A un titolo problematico e a un incipit straniante non poteva che corrispondere un corpus di opere altrettanto instabile, ovviamente non nei termini della qualità, ma piuttosto in quelli dell’evidente eterogeneità dei materiali impiegati, che sembrerebbe, a una prima analisi, contraddire il sottotitolo della mostra. Carte, cartoni e legni esibiscono, tuttavia, un medesimo trattamento della superficie, che, non distante da quello del bassorilievo, ci ha invitato a introdurre nel percorso espositivo, in funzione di utile raffronto, anche sculture la cui datazione si inserisse nei termini cronologici di questa mostra. Varrà perciò la pena di spendere ancora qualche parola sull’attività datata tra il 2009 e il 2013.
La produzione su carta di Maurizio, che emerge qua e là lungo tutta la sua carriera di artista, si è definita in maniera più compatta negli ultimi cinque anni. Dal 2009, infatti, ha occupato gran parte del suo lavoro e generato percorsi e scelte che riteniamo doveroso mostrare al pubblico. Prodromi di questa recente avventura sono episodi sparsi tra gli anni ottanta e i novanta: dalla parete di cartoni Il luogo della complessità del 1989, presentata l’anno successivo negli ambienti del Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea dell’Università “La Sapienza” di Roma, alla serie di Paesaggi esposti alla personale romana del 1991 presso la Galleria De’ Serpenti. A questi momenti fondativi, si aggiunge in anni più prossimi (2008) l’esperienza delle cosiddette “Pozzanghere”, carte di grandi dimensioni che, una volta disposte orizzontalmente, diventano il piano su cui versare e animare flutti di colore acrilico diluito. Ne emergono casuali forme astratte, in cui, tuttavia, forte è il richiamo a paesaggi e figure.
Dall’attività spontanea e liberatoria di versamento del colore sulla superficie dell’opera, nacque il capostipite dei lavori esposti in mostra: l’imponente Pastorale del 2009, nella quale all’imprevedibilità dei profili generati dall’addensarsi dell’acrilico si unisce un trattamento a collage che estrae le immagini presenti in potenza nel movimento del colore.
Un progenitore non può che avere dei figli ed è così che dal corredo cromosomico della madre discendono, secondo una linea evolutiva che ha i caratteri della spontaneità e della necessità, le qualità speciali della prole. I cartoni intitolati Deposizione (2009) e Paesaggio con figure (2011), ad esempio, pur condividendo un certo grado di monumentalità e una tecnica di definizione delle forme che prevede la sbozzatura degli strati di materia come nell’elaborazione di un rilievo, mostrano una diversa concezione nello studio della composizione, più ariosa e aperta nel primo caso, più serrata e trattenuta nel secondo, definendo una polarità tuttora presente nelle opere dell’artista.
Anche i Senza titolo del 2011, pensati come momenti di approfondimento del solenne Il ritorno, sono parte della stessa progenie. Si tratta di immagini di dimensioni contenute, ma non per questo meno evocative, capaci – come testimoniano gli esempi in mostra – di vivificare quel particolare rapporto tra il reticolo saldamente definito delle forme e il vuoto ottenuto per via di levare. È in serie come questa che Maurizio traspone visivamente il meccanismo della narrazione di Gadda, inducendo un movimento continuo dello sguardo tra gli spazi di colore sconfinati e l’intimità dei disegni rilevati. Se poi si considera la vicenda editoriale del romanzo La meccanica, l’accostamento appare ancor meno casuale, essendo il libro dello scrittore milanese frutto tardivo della raccolta di racconti scritti più di quarant’anni prima e dunque concepiti in modo tale da possedere quel certo grado di autonomia che reclamano anche questi cartoni.
Le due composizioni di medio formato dedicate alle scimmie (Tra le scimmie e Tra le scimmie azzurre), datate al 2011, oltre ad avvalorare più di qualunque altra opera la scelta del titolo di questa mostra, esibiscono – scherzi a parte – una raggiunta padronanza nell’utilizzo della tecnica, dimostrando come, anche nella parsimonia di effetti cromatici, l’armonia delle forme sia preservata e la superficie sapientemente articolata.
È noto che la frenesia di sperimentazione alla quale va di tanto in tanto incontro l’artista non sia un sentimento facile da arrestare o, quantomeno, governare. Ecco, di conseguenza, che le prove degli ultimi due anni si complicano, mescolano tecniche differenti, inaugurano l’utilizzo di strumenti nuovi, che talvolta stentano ad accordarsi (lo smalto) e talaltra concedono soltanto un fugace assolo (la vernice spray). Si presentano, tuttavia, occasioni in cui scelte di carattere tecnico, come la sostituzione del tradizionale cartone con un più resistente pannello di legno marino, provocano la generazione inattesa di opere commoventi (Melanconia e Selva del 2013), vicine nei modi a quelle che le hanno precedute, ma fornite di una delicatezza esecutiva e di un’eleganza formale mai raggiunte.
Chiudiamo il cerchio che da un titolo contestabile e da un incipit oscuro ci ha portati a un gruppo di lavori affascinanti, riconoscendo quanto il processo di produzione dell’opera condotto da Maurizio abbia affinità con il ciclo vitale e, conseguentemente, con la riproduzione animale. Da una carta si genera una serie di cartoni, da questa un dittico di legni marini, e così via. Ci si affaccia allora alla mente il pensiero che, forse, la grande potenza di quest’arte stia proprio, come nel caso della letteratura di Gadda e in quello, ben più inveterato, del mistero della vita, nell’impossibilità di ridurla a un’unica e inequivocabile interpretazione. Continuiamo perciò – è questo il mio invito - a guardare i “cartoni animali” di Maurizio attraverso i “piani aridi e illuni” di Gadda e a lasciarci trascinare dal “fiume torbido” della scrittura tra le selve e i paesaggi dell’artista.
Torino, 15 settembre 2013
Ci sono caratteri di questa mostra che si presentano nella loro eterogeneità sia al visitatore della Galleria Alda Costa sia al lettore di questo breve catalogo. In quanto disomogenei, questi elementi andranno spiegati.
Dopo una lunga e piacevole conversazione con l’artista proverò a farlo. Il rischio è notevole, ma – come si dice – accetto la sfida. Anzitutto, tra me e Maurizio è viva la promessa, anzi il dovere, che da parte mia si faccia chiarezza sul titolo dell’esposizione, quel Cartoni animali che io ed Elena abbiamo deciso e – diciamolo pure – imposto allo scettico artista: un titolo dal carattere faceto, distante dalle delicate scelte linguistiche operate finora da Maurizio. La decisione di non allinearsi all’immagine di sobria eleganza della lingua che ha contraddistinto il rapporto tra l’artista e il suo pubblico è un azzardo – ce ne rendiamo conto – ma continuiamo a essere del parere che osare sia un pregio e, cosa ancor più importante, un’occasione unica di rimescolamento dei sensi e di ripensamento dei significati.
Cartoni animali, dunque. «È pur vero – dirà Maurizio – che le mie opere su carta non rappresentano in alcun modo un bestiario. Gli animali, se così li vogliamo chiamare, occupano soltanto piccole porzioni delle carte, sono frammenti di un universo ben più complesso, in cui il mondo animale sfuma in quello vegetale, si confonde con quello minerale e si dispone secondo una geometria organica fatta di macchie e profili liquidi». Come contestarlo? Ma è pur vero che un titolo è una forma contratta e d’effetto di un concetto che si esprimerà limpidamente soltanto con una proposizione più ampia. “Animali” è dunque un prelevamento da un insieme allargato, i cui confini interni, mutevoli, oscillano tra le qualità vegetali, minerali, animali, più genericamente organiche, e, perché no, spirituali e artificiali. L’idea del titolo non si spiega, perciò, con quel piacevole slittamento linguistico che ci fa sorridere, ma con la selezione di vocaboli che sappiano imbrigliare una costellazione di significati anche lontani fra loro. E se il “cartone” non dà particolari problemi, perché indica con efficacia la scelta di concentrarsi su un nucleo definito di opere – quelle su carta – e, nello stesso tempo, sottolinea la nobile povertà del supporto, l’“animale” – ce ne rendiamo conto – è più ambiguo. Ma è nell’ambiguità che risiede la forza della parola, portata com’è a coprire anche campi di senso molto vasti e distanti fra loro. “Animale”, perciò, sta a indicare la vitalità dell’universo immaginifico dell’artista, in cui le forme si animano, trapassano l’una nell’altra e si staccano dal paesaggio primordiale e indefinito che aveva caratterizzato le carte dipinte fino al 2008. “Animale”, perciò, sta anche a indicare la vivacità con cui il supporto dell’opera è sottoposto a continui stress – dal bagno di colore liquido al rattoppo, dal collage all’intaglio – e trasformato in un campo di battaglia che, pur conservando traccia della scarica di energia creativa, riappare saldamente ricomposto. Il contestato vocabolo serve, quindi, a indicare una via attraverso la quale leggere la potenza espressiva delle scelte tecnico-formali che l’artista ha operato in questi ultimi anni, spostando l’accento tonico sulla genesi dell’opera, oltre che sul suo contenuto, e lasciando in secondo piano – ma per poi recuperarla – la questione della forma compiuta e dello stile.
Se del titolo mi/ci sono/siamo assunto/i la responsabilità, per quel che riguarda l’incipit devo sottolineare la mia/nostra estraneità, rimettendo la colpevolezza nelle mani dell’artista. Si tratta dei primi capoversi del romanzo La meccanica (1970) di Carlo Emilio Gadda, che, scelti come beneaugurante avvio del catalogo, non possono che stupire il lettore per il loro pastoso e multiforme linguaggio. «Avrò letto questo passo un migliaio di volte – cito più o meno fedelmente da Maurizio – ma ancora non sono capace di coglierne il significato profondo. Sono però sicuro che qui dentro ci sia tutto l’universo - animale, aggiungerei/aggiungeremo io/noi - che rappresento nelle mie opere».
Il gioco di continui slittamenti di campo al quale lo scrittore sottopone la narrazione non contrasta, in effetti, con il meccanismo di sguardi, alternativamente ravvicinati e distanziati, che Maurizio mette in azione nei suoi cartoni. In lontananza essi appaiono come un saldo reticolo, un paesaggio con qualche figura antropomorfa o una composizione vegetale, ma se ci avviciniamo, rimaniamo intrappolati fra i rami e siamo rapiti dal tenero ammiccare di qualche stravagante figura. Nell’incipit di Gadda la descrizione trasmuta improvvisamente dalle meccaniche celesti a quelle domestiche, nelle carte dell’artista accade lo stesso: lo sguardo si fa spazio tra le forme e, una volta addentratosi, ne è intrappolato lungamente, fino a quando, con lentezza, non riacquista la forza per riemergerne. Il video Epicentro del 2011, strutturato intorno all’opera Paesaggio con figure dello stesso anno, rende ragione di questo meccanismo e ci fa intendere come vadano guardati i lavori dell’artista, dimostrando, inoltre, quanto la musica assuma un ruolo fondamentale nel processo compositivo dell’opera. Va qui aggiunto, per inciso, che parlando con Maurizio della sua arte è frequentissimo sentirgli pronunciare parole prese in prestito proprio dal mondo della musica. I suoi attrezzi, ad esempio, e i suoi metodi di colorazione e intaglio della carta sono ripetutamente paragonati ai membri di un’orchestra. Compito del compositore, e di conseguenza dell’artista, è di provvedere al raggiungimento dell’armonia, integrando nel gruppo anche gli elementi nuovi o ribelli. Ma accordare gli strumenti e ricercare la grazia non è sufficiente: l’andamento delle forme deve essere reso il più possibile dinamico. I colori e le figure, allora, travalicano il confine del quadro e si espandono nei territori limitrofi. Il ritmo a cui tende l’artista è lo stesso che misteriosamente Gadda infonde alla sua scrittura, ma è anche «quell’inquieto flusso sonoro – e qui saccheggio un’altra volta dalle parole di Maurizio - con il quale Miles Davis sembra raccontarci il divenire incomprensibile ed eterno della vita».
A un titolo problematico e a un incipit straniante non poteva che corrispondere un corpus di opere altrettanto instabile, ovviamente non nei termini della qualità, ma piuttosto in quelli dell’evidente eterogeneità dei materiali impiegati, che sembrerebbe, a una prima analisi, contraddire il sottotitolo della mostra. Carte, cartoni e legni esibiscono, tuttavia, un medesimo trattamento della superficie, che, non distante da quello del bassorilievo, ci ha invitato a introdurre nel percorso espositivo, in funzione di utile raffronto, anche sculture la cui datazione si inserisse nei termini cronologici di questa mostra. Varrà perciò la pena di spendere ancora qualche parola sull’attività datata tra il 2009 e il 2013.
La produzione su carta di Maurizio, che emerge qua e là lungo tutta la sua carriera di artista, si è definita in maniera più compatta negli ultimi cinque anni. Dal 2009, infatti, ha occupato gran parte del suo lavoro e generato percorsi e scelte che riteniamo doveroso mostrare al pubblico. Prodromi di questa recente avventura sono episodi sparsi tra gli anni ottanta e i novanta: dalla parete di cartoni Il luogo della complessità del 1989, presentata l’anno successivo negli ambienti del Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea dell’Università “La Sapienza” di Roma, alla serie di Paesaggi esposti alla personale romana del 1991 presso la Galleria De’ Serpenti. A questi momenti fondativi, si aggiunge in anni più prossimi (2008) l’esperienza delle cosiddette “Pozzanghere”, carte di grandi dimensioni che, una volta disposte orizzontalmente, diventano il piano su cui versare e animare flutti di colore acrilico diluito. Ne emergono casuali forme astratte, in cui, tuttavia, forte è il richiamo a paesaggi e figure.
Dall’attività spontanea e liberatoria di versamento del colore sulla superficie dell’opera, nacque il capostipite dei lavori esposti in mostra: l’imponente Pastorale del 2009, nella quale all’imprevedibilità dei profili generati dall’addensarsi dell’acrilico si unisce un trattamento a collage che estrae le immagini presenti in potenza nel movimento del colore.
Un progenitore non può che avere dei figli ed è così che dal corredo cromosomico della madre discendono, secondo una linea evolutiva che ha i caratteri della spontaneità e della necessità, le qualità speciali della prole. I cartoni intitolati Deposizione (2009) e Paesaggio con figure (2011), ad esempio, pur condividendo un certo grado di monumentalità e una tecnica di definizione delle forme che prevede la sbozzatura degli strati di materia come nell’elaborazione di un rilievo, mostrano una diversa concezione nello studio della composizione, più ariosa e aperta nel primo caso, più serrata e trattenuta nel secondo, definendo una polarità tuttora presente nelle opere dell’artista.
Anche i Senza titolo del 2011, pensati come momenti di approfondimento del solenne Il ritorno, sono parte della stessa progenie. Si tratta di immagini di dimensioni contenute, ma non per questo meno evocative, capaci – come testimoniano gli esempi in mostra – di vivificare quel particolare rapporto tra il reticolo saldamente definito delle forme e il vuoto ottenuto per via di levare. È in serie come questa che Maurizio traspone visivamente il meccanismo della narrazione di Gadda, inducendo un movimento continuo dello sguardo tra gli spazi di colore sconfinati e l’intimità dei disegni rilevati. Se poi si considera la vicenda editoriale del romanzo La meccanica, l’accostamento appare ancor meno casuale, essendo il libro dello scrittore milanese frutto tardivo della raccolta di racconti scritti più di quarant’anni prima e dunque concepiti in modo tale da possedere quel certo grado di autonomia che reclamano anche questi cartoni.
Le due composizioni di medio formato dedicate alle scimmie (Tra le scimmie e Tra le scimmie azzurre), datate al 2011, oltre ad avvalorare più di qualunque altra opera la scelta del titolo di questa mostra, esibiscono – scherzi a parte – una raggiunta padronanza nell’utilizzo della tecnica, dimostrando come, anche nella parsimonia di effetti cromatici, l’armonia delle forme sia preservata e la superficie sapientemente articolata.
È noto che la frenesia di sperimentazione alla quale va di tanto in tanto incontro l’artista non sia un sentimento facile da arrestare o, quantomeno, governare. Ecco, di conseguenza, che le prove degli ultimi due anni si complicano, mescolano tecniche differenti, inaugurano l’utilizzo di strumenti nuovi, che talvolta stentano ad accordarsi (lo smalto) e talaltra concedono soltanto un fugace assolo (la vernice spray). Si presentano, tuttavia, occasioni in cui scelte di carattere tecnico, come la sostituzione del tradizionale cartone con un più resistente pannello di legno marino, provocano la generazione inattesa di opere commoventi (Melanconia e Selva del 2013), vicine nei modi a quelle che le hanno precedute, ma fornite di una delicatezza esecutiva e di un’eleganza formale mai raggiunte.
Chiudiamo il cerchio che da un titolo contestabile e da un incipit oscuro ci ha portati a un gruppo di lavori affascinanti, riconoscendo quanto il processo di produzione dell’opera condotto da Maurizio abbia affinità con il ciclo vitale e, conseguentemente, con la riproduzione animale. Da una carta si genera una serie di cartoni, da questa un dittico di legni marini, e così via. Ci si affaccia allora alla mente il pensiero che, forse, la grande potenza di quest’arte stia proprio, come nel caso della letteratura di Gadda e in quello, ben più inveterato, del mistero della vita, nell’impossibilità di ridurla a un’unica e inequivocabile interpretazione. Continuiamo perciò – è questo il mio invito - a guardare i “cartoni animali” di Maurizio attraverso i “piani aridi e illuni” di Gadda e a lasciarci trascinare dal “fiume torbido” della scrittura tra le selve e i paesaggi dell’artista.
Torino, 15 settembre 2013